Skip to main content

Intelligenza Artificiale come Interfaccia

Come tutti sanno (!), il primo programma di intelligenza artificiale fu creato Herbert Simon negli anni ’50, che vinse una ventina d’anni dopo il premio Nobel per… l’economia!

Nel suo libro “Le Scienze dell’Artificiale” Simon scrive:

L’artificiale può essere considerato come un punto d’incontro tra un “ambiente interno” e un “ambiente esterno”, ossia un’interfaccia in termini odierni.

Considerando che il software da lui scritto insieme ad altri nel 1956, il Logic Theorist, dimostrava teoremi di logica, la cosa sembra strana. Eppure oggi più che mai è chiaro quanto Simon avesse ragione.

Lo stesso sembra vero per l’intelligenza artificiale generativa, la tecnologia dietro a ChatGPT e compagnia. È così intelligente! Altro che interfaccia, capisce!

Sì, si comporta in maniera intelligente—ma lo fa anche un’automobile che accelera e frena da sola. Non per questo gridiamo al miracolo e al raggiungimento della singolarità sapiens-macchina.

L’intelligenza che vediamo nell’IA oggi non è proprio sua – è come un burattino che mostra l’astuzia di coloro che tirano le corde. Quei centinaia di milioni di dollari spesi da OpenAI per GPT-4? Sono stati usati per pagare un sacco di gente per addestrarlo a comportarsi in modo intelligente. Fondamentalmente, GPT-4 è solo molto bravo a giocare con le parole, ma non le capisce veramente.

Questo ci porta a Simon e l’artificiale visto come interfaccia tra il mondo interno all’artificiale stesso e il nostro. Pensate all’IA generativa come a un fantastico aggeggio che si piazza tra noi e i nostri strumenti tecnologici. Se è usato bene, farà un lavoro eccezionale nell’aiutarci.

L’Intelligenza Artificiale generativa, secondo noi, esploderà come intermediario tra i Sapiens e il mondo digitale. Detto in maniera un po’ tecnica, per tradurre in linguaggio programmatico le richieste fatte in linguaggio naturale. Per un software, capire “vorrei venire il 9 novembre alle 10 e un quarto” non è banale. Al contrario, per un modello di linguaggio come GPT è facile, come è facile per lui tradurlo in un formato “da computer”, ossia chiedere l’anno (che non conosce) e generare 2024-11-09T10:15:00+02, che vuol dire la stessa cosa ma ogni sviluppatore può usare facilmente nel proprio codice software. Questa è l’interfaccia!

Noi per ora usiamo così i modelli tipo GPT. Li prendiamo per quello che sanno far meglio: interpretare il linguaggio. Il risultato? Un software… utile. Che non si perde in chiacchiere ma cerca di risolvere il problema nella miglior maniera possibile.

Come fa il cervello a ricordare?

Reti e memoria

Quando dobbiamo ricordare qualcosa, creiamo dei legami tra le varie parti di ciò che dobbiamo memorizzare. È come se costruissimo una rete, e ogni parte di ciò che dobbiamo ricordare è un pezzo di questa rete.

Ci sono due reti che usiamo ogni giorno per ricordare le cose. Una è il linguaggio: quando parliamo, colleghiamo insieme le parole, e ogni frase che diciamo è un “percorso” nella rete delle parole. Alcune parole le usiamo spesso e sono collegate a tante altre parole, mentre altre parole le usiamo raramente.

La rete del cervello

L’altra rete che usiamo è il nostro cervello. Uno dei più grandi esperti di cervello, Kandel, ha spiegato che nel cervello le informazioni sono trasportate da gruppi di neuroni collegati tra loro, non da singoli neuroni. Quindi, anche nel cervello la parola chiave è “connessione”.

Anche se il nostro cervello è molto complicato e può ricordare le cose in modi diversi (per esempio, alcune cose le ricorda per poco tempo, altre per molto tempo, alcune le ricorda come luoghi, altre come azioni), il modo in cui ricorda le cose è sempre lo stesso: crea nuovi “percorsi” tra i neuroni. Questo è quello che aveva capito un esperto di psicologia, Hebb, nel 1949.

Attivazione dei neuroni

Hebb aveva capito che quando due neuroni si attivano insieme molte volte, il legame tra loro si rafforza, e questa è la traccia che ci fa ricordare le cose. Se due neuroni si attivano insieme spesso, il nostro cervello capisce che devono essere collegati, e quindi crea un “percorso” tra loro.

Quando dobbiamo ricordare qualcosa per molto tempo, il legame tra i neuroni diventa definitivo. Se invece dobbiamo ricordare qualcosa per poco tempo, il legame si fa debole se non usiamo spesso quei neuroni. In pratica, nel nostro cervello i legami che usiamo spesso diventano più forti, mentre quelli che usiamo poco si indeboliscono e alla fine spariscono. È un po’ come quando parliamo: se usiamo spesso due parole insieme, il nostro cervello capisce che devono essere collegate. Cento anni fa, per esempio, nessuno diceva “troppo fico”, quindi queste due parole non erano collegate. Oggi, invece, le usiamo spesso insieme, quindi il nostro cervello ha creato un legame tra loro.

Reti Neurali Naturali e Artificiali

La prima rete neurale: il cervello

Sappiamo relativamente poco su come funziona il nostro cervello, ma sappiamo esattamente come funzionano le reti neurali artificiali, ossia i software che stanno dietro ai vari prodotti basati su Intelligenza Artificiale, come MrCall. Possiamo cercare allora di capire se i “cervelli” biologici molto semplici possono essere paragonati ad una rete neurale artificiale.

Il cervello più semplice: Elegans

Fino ad ora, il cervello che conosciamo meglio è quello di un piccolo verme chiamato C. Elegans. Nel 1986, sono stati mappati tutti i 302 neuroni del cervello di un C. Elegans femmina, e poi studiati a fondo. Nel 2012, è stata fatta la stessa cosa per il cervello del C. Elegans maschio, che ha 383 neuroni. La differenza è dovuta al fatto che il maschio deve cercare di accoppiarsi con la femmina, mentre la femmina può avere figli da sola.

Questo accoppiamento non è una cosa semplice. Anche se il C. Elegans è un organismo molto semplice, il suo modo di accoppiarsi è complesso. Eppure, riesce a fare tutto questo con pochi neuroni.

Elegans e le reti neurali

Se guardassimo al cervello dell’Elegans come una rete neurale artificiale, diremmo che la Natura ha sviluppato una rete neurale semplice, o tecnicamente “shallow”. Le reti shallow sono reti con solo pochi strati di neuroni.

E così è per la rete dell’Elegans: prima ci sono i neuroni sensoriali, che riconoscono le cose intorno a loro, per esempio se c’è una femmina nelle vicinanze. Poi, l’informazione passa a un secondo gruppo di neuroni, e infine al terzo gruppo, i neuroni motori, che danno il via ai movimenti.

Ci sono quindi solo 3 strati di neuroni. In più, come nelle reti neurali artificiali che usiamo oggi, alcuni neuroni del C. Elegans riescono a ricordare le informazioni e a riutilizzarle.

La natura ci ha messo qualche milione di anni a sviluppare i sistemi nervosi come quello dell’Elegans, ma la semplicità della rete neurale, del cervello insomma, di questo vermetto non ci deve trarre in inganno: i cervelli “naturali” sono comunque complessi, perché son fatti di neuroni, ossia cellule, a loro volta in grado di analizzare informazione. I neuroni delle reti neurali artificiali invece sono molto semplici, e infatti una rete neurale artificiale di 300 neuroni fa ben poco!